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Ecclesiam suam, D.G.C.

La formazione: esigenze e prospettive, a cura di Maria Santacroce, Mariella Malaspina, Elisabetta Corradini, Nicolina Melcore

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Testimonianza secolare e vita consacrata, Maria Gabriella Baldelli

Esercizi di laicità: “Immigrazione: profughi del nord-est”, Liliana Lipone

Riflessioni sull’identità degli Istituti secolari, Marina Parisi

70 anni dopo, Elda Geremicca

SETTANT’ANNI E (NON) SENTIRLI
Memorie preziose escono da uno scrigno, Antonella Simonetta

OFFICINA DEL PENSIERO
Quali consigli evangelici per gli Istituti secolari?, Don Fabio Marini

L’OPINIONE
La presunzione dell’uomo-dio e le fragilità dell’uomo reale, Angelo Onger

PASSI DI SECOLARITA’
Trasfigurare, Ileana

Sorridi alla vita che è in te e attorno a te, a cura di Santina Pirovano

DAGLI ISTITUTI
Angela Merici: vivere nel mondo, Kate Dalmasso

SEGNALAZIONI
Un autore, un libro, Lucia Amado Correia

La rivista INCONTRO si può ricevere versando un contributo annuo di 20,00 € per l’Italia; per l’estero 25,00 € sul c.c.p. n. 55834717 intestato a: C.I.I.S. Conferenza Italiana Istituti Secolari


EDITORIALE

Quando la rivista sarà nelle nostre mani, si starà svolgendo a Cagliari la 48 Settimana sociale dei cattolici italiani, con un titolo molto suggestivo: “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo, solidale”.
Ma… quale lavoro? Quello che c’era una volta? Una volta c’erano i lavoratori, che vivevano le caratteristiche del lavoro, come la fatica, la precisione, la pazienza, la puntualità. Quelli che si riconoscevano per alcuni stili improntati alla sobrietà ed alla condivisione. Quelli che propugnavano valori politici quali l’uguaglianza, la giustizia sociale, la coerenza. Quel mondo del lavoro è ferito ed è finito.
«L’accoglienza e la lotta alla povertà passano in gran parte attraverso il lavoro. Non si offre vero aiuto ai poveri senza che possano trovare lavoro e dignità. Questa è la sfida appassionante, come negli anni della ricostruzione dopo la guerra, che tanta povertà aveva lasciato. Il recente “Patto per il lavoro”, che ha visto tutte le parti sociali, e anche la Chiesa, firmare un comune impegno per aiutarsi nella ricerca di risposte stabili, non di elemosine, è un metodo importante che auspico possa dare i frutti sperati. La crisi economica ha una dimensione europea e globale; e, come sappiamo, essa è anche crisi etica, spirituale e umana. Alla radice c’è un tradimento del bene comune, da parte sia di singoli sia di gruppi di potere. È necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e assegnarla alla persona e al bene comune. Ma perché tale centralità sia reale, effettiva e non solo proclamata a parole, bisogna aumentare le opportunità di lavoro dignitoso. Questo è un compito che appartiene alla società intera: in questa fase in modo particolare, tutto il corpo sociale, nelle sue varie componenti, è chiamato a fare ogni sforzo perché il lavoro, che è fattore primario di dignità, sia una preoccupazione centrale» (dal discorso che papa Francesco ha tenuto recentemente a Bologna).
Da queste sollecitazioni emerge che non basta un lavoro “pur che sia”: è necessario che questo permetta la valorizzazione della persona e la coltivazione di un progetto di vita. Idee che oggi potrebbero apparire un lusso, visti i problemi di disoccupazione che affliggono il mondo del lavoro. Proprio in questi frangenti, però, è necessario non perdere la bussola, in particolare come cristiani. La situazione della disoccupazione giovanile e quella di tanti che hanno perduto il lavoro e non riescono a reinserirsi sono realtà alle quali non possiamo abituarci, trattandole come se fossero solamente delle statistiche. E questa è la tentazione. Penso sia necessario investire in quelli che possono essere definiti i giacimenti della nuova crescita: attività legate all’intelligenza e alla qualità della vita di tutti, dai neonati agli anziani.
Per i laici consacrati il lavoro è sempre stato ed è importante. Non possiamo limitarci a far bene il nostro lavoro, dobbiamo riscoprire ed aiutare a riscoprire cosa sia l’umano all’interno del lavoro che viviamo. È questa dimensione, profondamente relazionale e civile, a rappresentare oggi una grande sfida. L’uomo è le relazioni che vive. Per noi ogni relazione deve essere fondata sul criterio della libertà, della creatività, della partecipazione, della solidarietà. Sono parole e prassi che vanno riscoperte, anche attraverso il lavoro. Insomma, il nostro lavoro non è finito, e forse neanche il lavoro.

m.r.z.