APPUNTI DI SPIRITUALITÀ
«Sia santificato il tuo nome», Don Marco Pozza

TEMI APERTI
Coronavirus e preghiera oggi, Carlo Truzzi
Aiutiamoci a non dimenticare, Rosanna Marchionni

CAMMINI DI CHIESA
«Ti racconto una storia». La narrazione come metodo educativo,
Gaetano Pugliese
Abitare con il cuore la città, Don Benoni Ambarus

L’OPINIONE
Una pandemia d’amore. Le relazioni dopo il coronavirus, Angelo Onger

VOCI DALL’OSSERVATORIO
Welfare abitativo. Il tema della domiciliarità, Osservatorio CIIS

IN MEMORIA
I 100 anni di Padre Luigi Faccenda, Angela Savastano

SEGNALAZIONI

ESERCIZI SPIRITUALI


EDITORIALE

“La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera”
(G. Pascoli)

Il medico di famiglia, l’insegnante in pensione, l’operaio, la casalinga, il sacerdote, il presidente di associazione: storie di vita che il Coronavirus ha travolto come un fiume in piena, in quella che doveva essere una tranquilla fine dell’inverno. Alcune immagini, tra le tante che quotidianamente i mezzi di informazione ci hanno offerto, ci rimarranno impresse: quella delle numerose bare caricate sui camion dell’Esercito a Bergamo, papa Francesco da solo in piazza San Pietro e il presidente Mattarella, anche lui da solo, all’altare della Patria. I simboli non risolvono nel concreto le situazioni, ma indicano delle possibili strade da seguire nell’affrontare le sfide.
Non potremo facilmente dimenticare la supplica di papa Francesco rivolta a Dio: “Non lasciarci in balia della tempesta!”, seguita da altre parole rivolte agli uomini su “il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa”.
E noi, come abbiamo vissuto il periodo della pandemia? Che cosa è successo nella nostra vita dopo il 21 febbraio di quest’anno? Non dobbiamo nascondercelo: la pandemia è stata un trauma per tutti, anche per noi, anche per i nostri Istituti.
Abbiamo vissuto (e stiamo ancora vivendo) una situazione inedita che ci provoca radicalmente. Tutte le attività, tutti gli incontri, tutti gli impegni, prima rimandati e poi sospesi, sono stati il segno che è accaduto qualcosa di imprevedibile con cui fare i conti.
Un altro segno forte è stata l’impossibilità di partecipare alla celebrazione eucaristica. Ed abbiamo compreso come sia una realtà centrale nella nostra vita. Molti di noi hanno continuato il loro lavoro: nella scuola “a distanza”, negli ospedali e nelle RSA, rischiando in prima persona. Anche nei nostri Istituti, come in tante comunità parrocchiali, si è accesa la fantasia per continuare online formazione ed incontri di Consiglio. Il telefono ci ha poi permesso di continuare i contatti tra di noi e di raggiungere persone e famiglie che hanno dovuto affrontare lutti e malattie.
Questo periodo ci ha costretto ad imparare il vero significato di alcune parole: assenza, dolore, angoscia, comunione, incontro, abbraccio. La messa al bando del contatto fisico ha fatto molto scalpore e suscitato proteste, eppure personalmente a volte ho stretto la mano con convinzione e spesso provo disagio nel cercare di intuire se chi sto salutando si aspetta due o tre baci, come va di moda da qualche tempo. La stretta di mano è un segno di pace e l’importanza non è nel gesto, ma nel suo significato. Nella scarsità il poco acquista valore. Allora riflettiamo sulla forza di un sorriso, che quando è sincero non perde efficacia ad una distanza superiore al metro.
Nei giorni in cui tutti eravamo chiusi in casa ho letto una bella riflessione di don Enrico Parolari, che invitava a recuperare la pedagogia della distanza, come invito a riscoprire proprio nella distanza alcuni aspetti del voler bene: la delicatezza delle relazioni, del fare un passo indietro, del fermarsi sulla soglia, dell’aspettare, del non essere invadenti e del rispetto. E tutto questo, paradossalmente, per poter essere vicini.
In serena attesa che con nuovo sapore torni ciò che sembra perduto, se mi incontrate per strada non importa stringermi la mano, ma se anche a distanza non negatemi un sorriso.

m.r.z.


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