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EDITORIALE

Mentre scrivo l’editoriale leggo la notizia di atti vandalici compiuti presso un paio di sedi degli Archivi storici della Resistenza e penso al prossimo 25 aprile. È una ricorrenza che ognuno si festeggia a modo suo. E non è un grande risultato.
Nei luoghi dove avvengono le celebrazioni ufficiali si vede di tutto.
C’è chi ascolta gli oratori sul palco e tende ad assieparsi. C’è chi girovaga tra i gruppetti che inevitabilmente si formano (anche in reazione al fatto che l’audio degli oratori è sempre troppo basso…). C’è chi assiste a tutto fumando e commentando. Tutti insieme e tutti separati. Il 25 aprile è una festa decisiva nel riaffermare i valori che uniscono questa Repubblica. Ma nel Paese sta scomparendo un desiderio di appartenenza valoriale, di condivisione di un senso della Storia. Come se i morti di quella tragica stagione fossero stati rimossi, dimenticando quel senso che ha costituito la ragione del loro sacrificio. Perché a volte si vive, ma di più si contano le ragioni per cui si vive. Riusciremo a riscoprire una ragione di vita comune in questo Paese, che tenga insieme le ragioni del nostro passato con le opportunità che offre il futuro? Nell’editoriale dell’ultimo numero della rivista “Vita” il direttore Bonacina afferma:
«La XVIII legislatura ha i suoi primi progetti di legge annunziati. Dal 23 marzo, data di inizio della legislatura, al 29 marzo sono già 377 i progetti di legge annunciati alla Camera dai nuovi parlamentari eletti il 4 marzo. […] La “povertà” ha zero ricorrenze in questi primi 377 progetti di legge, mentre gli “animali” compaiono 27 volte: fra tutte, Michela Vittoria Brambilla ha proposto il riconoscimento dei conigli quali animali di affezione nonché divieto della vendita e del consumo delle loro carni. La parola famiglia compare una sola volta, l’infanzia appare quattro volte. Non è un panorama esaltante, nonostante il rinnovamento del personale politico e le promesse elettorali il Palazzo sembra già mille miglia lontano dal Paese reale e dai luoghi di sofferenza come le rotte dei migranti che continuano a morire, nel Mediterraneo o sulle Alpi nell’indifferenza generale. […] Episodi che ci inducono a dire che anche il Buon Samaritano oggi rischierebbe un processo e un’incriminazione. Dare una mano a chi è a rischio di vita o è in palese difficoltà è vietato, è reato, “soccorrere non è un crimine” recita una recente e timida campagna. Dovremmo urlare: questo no! Io non ci sto. Disobbedisco, l’obbedienza, in questi casi, non è una virtù».
Da ciò si vede che stiamo distruggendo un patrimonio fatto di rispetto istituzionale. Certo gli anni Sessanta e Settanta hanno fatto la loro parte nel destrutturare il potere. E anche gli anni successivi non sono stati da meno. Il risultato finale è una diffusa diffidenza verso chi si impegna in politica in modo serio. Hanno più fortuna coloro che la sparano grossa.
Un vescovo, nell’occasione del 1 maggio dello scorso anno, parlava della «giusta terna» di casa, lavoro e famiglia. In questo periodo il lavoro va così, la famiglia sta cambiando e anche la condizione della casa non è delle migliori. Quando si modifica questa terna non occorrono neppure le rivoluzioni politiche a decretare il cambiamento. Significa che sta cambiando un’era. Tutto cambia.
Pensare politicamente significa capire dove si sta andando e come salvare l’uomo nelle nuove condizioni. Per riuscire a riscoprire una ragione di vita comune.

m.r.z.