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EDITORIALE

La Pasqua, appena trascorsa, parla in modo chiaro. Parla di morte e di resurrezione. Ma parla soprattutto di mistero. E l’ultima Pasqua ha parlato soprattutto di violenza e di morte.
Ma ha parlato anche di mitezza, quella mitezza che ha accompagnato tutta la Via dolorosa e si è manifestata soprattutto sulla croce. E credo sia quello che la realtà che viviamo chiede anche a noi, oggi.
I fatti di violenza ultimi sono noti a tutti e tutti, o almeno molti, hanno detto: «Perché?».
E mi trovo a ripetere spesso una constatazione, frutto di quella sapienza biblica che si impara dalla vita: quando il male ci spegne il sorriso, il male ha già vinto.
Proprio in questi giorni di grande dolore, ho sentito vera la virtù della mitezza. Non è la morte a vincere, ma la forza di una coesione interiore, che si fa mitezza, a conquistare la terra. In precisi gesti che diventano coraggiosa alternativa al male.
È mitezza quando, nella frammentazione sempre più devastante operata dal male, noi sappiamo ancora credere nel bene. Non entriamo nella sua logica. Non ci facciamo sconfiggere dentro.
È mitezza quando sappiamo unificare, sappiamo mettere insieme, sappiamo riportare in armonia i tanti pezzetti che la vita scompone e spesso anche disperde.
È mitezza quando sappiamo vedere il bene, anche se fragile, nel cuore degli altri.
È mitezza quando sappiamo metterci in discussione, imparando da tutti.
Nasce così l’unità, che porta con sé l’invito ad affrontare i conflitti e non esasperarli, a togliere le animosità. Nasce così anche il perdono, l’arte più difficile ed esigente della vita, che si costruisce giorno per giorno, nella mitezza.
Ecco allora che la morte è vinta. Ecco allora che è Pasqua. Una Pasqua che parla di resurrezione, senza cancellare il mistero.
m.r.z.