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EDITORIALE

Una parola che risuona molto oggi è la parola “futuro”. E io mi sono ricordata una vecchia “regola” latina che mi sembra adatta per il periodo che stiamo vivendo.
Spero, promitto e iuro reggono l’infinito futuro.
In questo periodo abbiamo davvero bisogno di futuro, ma abbiamo soprattutto bisogno di infinito. Abbiamo bisogno di infinito per avvicinarci al senso di tutto, al senso della vita, al senso che accompagna in ogni istante la nostra esperienza. Abbiamo bisogno di futuro per continuare a credere che sia possibile averne uno.
Spero. Sperare, nonostante tutto, sempre. Sperare regge il futuro, dà futuro. Vorremmo tanto che in questo tempo la speranza fosse il nostro obiettivo. È forse improponibile? Può darsi. Ma è bello sperare… Ed è anche bello ridare speranza, ridare fiato a una società e restituirle dignità. Ma, quale può essere la speranza per le persone di oggi? Ricette precise non ci sono, ma ognuno di noi può scavare dentro di sé…
Promitto. Di promesse in questo periodo ce ne hanno fatte e ce ne fanno molte. In modo anche ossessivo. Ma il problema è che ci promettono il futuro immediato. Promettere significa invece porre sotto gli occhi e quindi assicurare, dare la propria parola. Se la parola ha ancora un peso e un senso. Ma quasi tutti si fermano solo alla prima parte. Ci hanno messo tutto sotto gli occhi, ecco perché il futuro non può diventare davvero futuro. Infatti sto pensando ad un altro futuro, ad altre promesse. Di promesse che trovino complemento nel divenire, per noi, per tutti.
Iuro. Da iurare deriva “ius”, diritto, ciò che è giusto, ciò che è dovuto a qualcuno. Da qui nasce l’impegno a vincolarsi, a obbligarsi con qualcuno. Ecco cosa vorremmo, davvero: rinascere da dentro, dal profondo, vincolandoci, per offrire ciò che è giusto, ciò che è dovuto. Obbligarsi in solido con il diritto di tutti, anche e soprattutto attraverso le vie della misericordia e della tenerezza.
Spero, promitto e iuro. Tre semplici verbi, ma che verbi! Tutti reggono l’infinito e il futuro.
La persona umana è naturalmente spinta a prendere posizione di fronte al futuro, a scommettere sull’avvenire, ma ciò è possibile solo attraverso l’apertura all’altro. Penso che i bambini ed i giovani, che sono il futuro della società, neppure immaginino che molti adulti hanno perso di vista questi verbi. Che forse, perché no, proprio noi, membri di Istituti secolari, potremmo recuperare.

m.r.z.


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