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EDITORIALE

Una sala d’aspetto come tante. Alcune persone conversano. Oggetto: rapine, furti, borseggi, truffe e, l’immancabile coronavirus, con i propri pareri, e dubbi, sulla vaccinazione. Sembra che il mondo ci stia cadendo addosso. “Siamo proprio messi male”: è l’opinione della maggioranza delle persone presenti.
Ma una persona, la più anziana, molto semplice, in dialetto dice che è vero tutto quanto hanno detto gli altri, ma le pare che oggi ci sia un grande bisogno di bene, ma poca capacità di vederlo, di riconoscerlo e di chiamarlo. E tutti ci mettiamo a ridere, poiché siamo nella sala d’aspetto di un oculista…
La signora continua auspicando che cresca, in tutti, la speranza. Ed è questo che innesca la mia riflessione.
Ma quale speranza? Certamente non una speranza vista come un balsamo curativo contro le disgrazie umane, come una coperta in cui accoccolarsi quando fuori fa freddo. Non è nemmeno solo la capacità di vedere la luce in fondo al tunnel, ma più che altro è ciò che permette di capire da dove arriva la luce per poi dirigersi in quella direzione e uscire dal buio. La speranza, se non sostenuta dalla ragione, è poco più che un sogno ad occhi aperti. Facciamo fatica, quindi, a uscire dalle sabbie mobili dell’allarmismo permanente, che ci rende sempre insoddisfatti.
Certamente, i problemi sono reali, così come alcuni pericoli.
Ma oggi, complice un certo sistema dell’informazione e una certa politica, ogni problema è un’emergenza, ogni pericolo una minaccia.

m.r.z.


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